Autori: Anselmo Guazzi e Agostino da Mozzanica su progetto di Giulio Romano
- Datazione: 1526- 1528
- Collocazione: Camera di Ovidio, o delle Metamorfosi (prima scena tra le tre ospitate nella parete sud)
- Tecnica: affresco
- Iconografia: Orfeo agli Inferi tratta dalle Metamorfosi di Ovidio
- Soggetto iconografico: Orfeo agli Inferi: Si narra che Orfeo, personaggio della mitologia greca e celebre poeta vissuto prima di Omero, avesse il dono di incantare ogni creatura grazie al suono della sua lira. Fu lo stesso Apollo a fargli dono dello strumento che le Muse gli insegnarono a suonare. Egli traeva da esso divine armonie e ammaliava ogni essere vivente, fiere e vegetali; persino rocce e oggetti inanimati si spostavano per seguirlo e per poter ascoltare il suono dell’aurea lira. Con la sua arte egli poteva placare le onde del mare in tempesta e l’animo sconvolto dei marinai, come fece durante la spedizione degli Argonauti. Orfeo, di ritorno dalla celebre spedizione, di stabilì in Tracia, dove sposò la Ninfa Euridice. Quest’ultima un giorno, mentre passeggiava con le sue compagne, fu costretta a sottrarsi alle mire del pastore Aristeo e nella fuga, disgraziatamente, fu morsa da un serpente e morì. Orfeo, disperato e inconsolabile, la seguì nell’Ade e con la sua lira riuscì a placare i tormenti dei dannati, fino a giungere al cospetto di Plutone e della consorte Proserpina, sovrani degli Inferi. Dinanzi a tanto strazio e a tanta bellezza dell’arte, anche le creature ctonie si commossero al punto di concedere a Euridice di essere riportata in vita, ma ad un patto: Orfeo, durante il cammino, non avrebbe dovuto volgere lo sguardo all’indietro verso Euridice che lo seguiva e, fidandosi della parola di Plutone, avrebbe dovuto attendere di riabbracciare l’amatissima e sfortunata sposa, solo dopo essere risaliti al mondo dei vivi, ormai oltrepassata la casa di Ade. Orfeo accettò la condizione imposta, ma quando stava per oltrepassare il confine fatale, l’ansia e l’impazienza dell’amore lo indussero a voltarsi, tradendo la sua promessa, appena in tempo per vedere Euridice nuovamente a lui sottratta e inesorabilmente ricondotta nelle profondità infernali. La disperazione per la definitiva perdita di Euridice provocò in Orfeo un atteggiamento sprezzante e oltraggioso nei confronti delle donne della Tracia che, esasperate, per vendicarsi lo fecero a pezzi nell’estasi delle orge bacchiche. Dopo la sua morte le Muse raccolsero i suoi resti e li seppellirono a Libetra, alle pendici dell’Olimpo, mentre secondo un’altra versione la sua testa fu gettata nell’Ebro, da dove raggiunse il mare e fu trasportata dai flutti sull’isola di Lesbo. Qui, poiché continuava a parlare, pronunciando oracoli in concorrenza con Apollo, fu da Apollo stesso fatta tacere per sempre. Anche la sua lira, secondo i poeti, fu portata a Lesbo; entrambe le tradizioni si riferiscono, molto probabilmente, al riconoscimento del ruolo primario che l’isola di Lesbo ebbe in Grecia nel campo della musica e della poesia.
Descrizione della morfologia del rilievo
La traduzione tridimensionale di questa scena trae spunto dal bassorilievo prospettico di origine rinascimentale ove l’uso dei sottosquadri (profili staccati e diversificati nella loro aggettanza dallo sfondo) permette la percezione del susseguirsi dei piani di posa prospettici, e un’efficace lettura tattile della disposizione dei soggetti indotta dal ritmo della rappresentazione. Si propone una lettura possibilmente bimanuale e inizialmente sincronica che permetta di vedere la relazione tra Orfeo che suona la lira e Plutone e Proserpina assisi. Dovrebbe seguire poi la lettura tattile di Cerbero, della Parca e della Furia. La lettura potrebbe inizialmente muovere dal centro della composizione, spostarsi a sinistra e culminare a destra nella visualizzazione di Euridice condotta a Orfeo da Caronte. Da un punto di vista prospettico: in primo piano troviamo Cerbero ed Euridice, in secondo piano Orfeo, Caronte, Plutone e la Parca, in terzo piano Proserpina e infine la Furia. Pur essendo noto che nella composizione pittorica non è possibile scindere nettamente un piano di posa dall’altro, tale indicazione può comunque aiutare il lettore a orientarsi spazialmente nell’esplorazione tattile. Per una interpretazione del significato si rimanda invece alla comprensione delle relazioni esistenti tra i personaggi, che costituiscono il tempo della narrazione.
Descrizione della scena
Per capire la pietas e sentire la forza salvifica ma non risolutiva dell’arte e della bellezza è sufficiente citare qualche passo tratto dal libro X delle Metamorfosi di Ovidio: O dèi del mondo che sta sottoterra, dove tutti veniamo a ricadere, noi mortali creature, senza distinzione, se posso parlare e se mi permettete di dire la verità, senza i rigiri di chi dice il falso, io non sono disceso qui per visitare il Tartaro buio, né per incatenare i tre colli ammantati di serpenti del mostro della stirpe di Medusa. La ragione del mio viaggio è mia moglie, nel cui corpo una vipera calpestata ha iniettato veleno, troncandone la giovane esistenza. Avrei voluto sopportare, e non posso dire di non aver tentato. Ma amore ha vinto! (…) Qui tutti siamo diretti, questa è l’ultima nostra dimora, e il vostro dominio sul genere umano non ha poi fine. Anche costei sarà vostra quando avrà compiuto fino in fondo il giusto percorso della sua vita: vi prego solo di ridarmela in prestito. Ma se il mio destino mi nega questa grazia per la mia consorte, io non voglio riandarmene, no. Così godrete della morte di due! . Piangevano le anime esangui mentre egli diceva queste cose e accompagnava le parole col suono della lira (…) Si narra che allora per la prima volta s’inumidirono di lacrime le guance delle Furie, commosse dal canto. E né la consorte del re, ne il re stesso degli abissi ebbero cuore di opporre un rifiuto a quella preghiera; e chiamarono Euridice. Era essa tra le ombre nuove, e venne avanti con passo lento, per la ferita. Orfeo del Ròdope la prese per mano, e insieme ricevette l’ordine di non volgere indietro lo sguardo finché non fosse uscito dalla vallata dell’Averno. Vana altrimenti sarebbe stata la grazia. Al centro della composizione c’è Orfeo, inginocchiato, di cui è leggibile il profilo sinistro, il busto scoperto e il manto che dalla spalla destra ricade sulla schiena fino a coprire parte delle gambe, mentre i calzari sono immersi nelle acque del fiume Stige. Egli suona la lira per intercedere presso Plutone e Proserpina, affinché gli restituiscano l’amata Euridice. Dinanzi a lui, alla sinistra del lettore, vediamo i Regnanti assisi e affiancati. Del corpo di Plutone è leggibile il profilo destro, mentre di Proserpina cogliamo il volto, rivolto verso l’osservatore, nell’atto di suggerire qualcosa al consorte, il braccio sinistro, la mano destra e le gambe coperte da un lunga veste. Alle spalle di Plutone sembra ritratta una Parca, interamente coperta da un manto e in atteggiamento di contenuta partecipazione. Al fianco della coppia infernale compare Cerbero, il guardiano tricefalo, e tra il gruppo di personaggi sulla riva e Orfeo si staglia una orrorifica Furia, la cui identità è confermata dalla chioma di serpenti. Con la mano protesa all’altezza del capo afferra una serpe che sembra puntare verso Euridice, la quale, con i polsi legati dietro la schiena, incede a passo lento e con il capo chino alle spalle di Orfeo, condotta da Caronte al cospetto delle Divinità infernali. Tra Caronte, accigliato e barbuto, che nella mano destra regge la pertica da traghettatore, ed Euridice, di cui percepiamo il gentile profilo sinistro, i capelli raccolti in una coda e l’espressione mesta, si insinua un serpente, a memento della tragica e prematura morte della Ninfa. Caronte ed Euridice camminano a piedi nudi nelle acque dello Stige e ciò allude al loro essere anime dell’Ade. Lo sfondo buio conferisce alla scena, pur lirica, un aspetto desolato e cupo.
Valori stilistici e cromatici
Dal progetto di Giulio Romano, quindi dall’impianto dei suoi disegni per questa camera, si evince l’affezione dell’artista per una pittura classicista. Ritmo compositivo e simmetria contraddistinguono questa composizione, che nei colori e nelle luci si avvale di pennellate rapide simili all’affresco di tradizione romana. Lo sfondo scuro della scena assimila il tono cinereo della Furia, mentre enfatizza, all’opposto, l’incarnato eburneo di Orfeo e la nudità di Euridice. Il verde dell’acqua si contrappone al colore terroso della riva e ne accentua il distacco. L’affresco, il cui stato di conservazione è parzialmente compromesso, risulta però chiaramente leggibile.
Autore della scheda
Loretta Secchi, Curatrice del Museo Tattile di Pittura antica e moderna “Anteros” dell’Istituto dei Ciechi F. Cavazza - Bologna